1) PREMESSA
Già da qualche anno la nostra Associazione ha avvertito l’esigenza di delineare più marcatamente la propria metodologia di intervento nel settore del Reinserimento.
Sono del febbraio 1995, infatti, le prime Indicazioni Metodologiche per i Responsabili del settore, redatte al termine di un’attenta analisi della situazione, dopo anni di esperienza al fianco di ragazzi che hanno incontrato non poche difficoltà di reinserimento.
Accogliamo ora l’esigenza da molti manifestata di avere le Indicazioni Metodologiche in una forma più completa, destinate a tutti e non più ai soli Responsabili del settore.
2) ATTUALITA’ DEL PROBLEMA.
Quando parliamo di ‘Reinserimento’, intendiamo riferirci non solo ai ragazzi che hanno completato il cammino comunitario, ma anche ad altre due categorie di persone, nostre interlocutrici : quelle che, vivendo condizioni di emarginazione o di devianza e non potendo intraprendere il cammino di recupero in comunità, vogliono reinserirsi in condizioni di vita ‘normali’, e quelle che hanno interrotto il cammino comunitario e non possono più completarlo.
Pur essendo fermamente convinti dell’efficacia delle Comunità nell’affrontare positivamente situazioni di disagio e di devianza, e pur proponendo ai ragazzi sempre e prima di tutto la soluzione comunitaria, dobbiamo tuttavia constatare che sempre più spesso si presentano a noi persone che non sono nelle condizioni di intraprendere l’iter comunitario.
Tale situazione richiede da noi un grande sforzo progettuale, quello di strutturare un percorso alternativo, cioè di adattare alle loro condizioni di vita il modello educativo della comunità, coinvolgendo in tale progetto familiari ed amici.
In particolare vediamo quanto sia difficoltoso:
– facilitare il dialogo e il confronto tra i componenti della famiglia, stabilendo relazioni significative basate sull’onestà e la lealtà nei rapporti;
– ridare fiducia e speranza;
– stimolare alla ricerca di un più maturo senso della vita;
– tracciare un cammino che aiuti a crescere nella responsabilità e, quindi, a irrobustire la volontà; …
Anche molti ragazzi che hanno lasciato anzitempo la comunità spesso bussano alla nostra porta chiedendoci una mano.
Sarebbe un errore il considerarli allo stesso modo di coloro che hanno terminato il programma comunitario; sarebbe una mancanza di sensibilità abbandonarli a se stessi, soprattutto se ci chiedono aiuto.
Dopo aver chiarito il motivo per cui hanno interrotto il cammino comunitario, dopo aver prospettato loro la convenienza del ritorno in comunità – perché in quell’ambiente protetto i processi di maturazione e di crescita sono fortemente accelerati – e dopo aver verificato l’impraticabilità di tale soluzione, valutiamo attentamente se ci siano motivazioni e condizioni sufficienti per un eventuale cammino alternativo.
In queste situazioni, c’è bisogno di molta ponderazione e prudenza per evitare qualsiasi strumentalizzazione da parte dei ragazzi che potrebbero tentare di servirsi di noi al fine di essere riaccolti in casa senza dover affrontare la durezza della vita comunitaria, e quindi lo sforzo del cambiamento.
La nostra attività in questo settore, comunque, è sempre particolarmente orientata ai ragazzi che hanno completato il loro cammino comunitario.
Ci sentiamo infatti molto partecipi delle difficoltà e degli sforzi che essi incontrano nel loro ritorno dalla comunità. Forse perché vediamo nella loro riuscita anche un incoraggiamento e una gratificazione per noi.
La fase di Reinserimento per loro, però, è una fase molto delicata, che presenta tantissime difficoltà, di cui ci occuperemo fra breve.
E non sempre, purtroppo, le cose vanno per il verso giusto.
Di fronte alle ‘ricadute’ di ragazzi che pur avevano completato positivamente il cammino comunitario, ci rendiamo conto che dobbiamo fare di più e non dobbiamo considerare il Reinserimento come un settore marginale in relazione all’attività di Recupero, che, nella nostra impostazione metodologica, si articola in tre fasi: Colloqui, Comunità, Reinserimento.
A farci sentire poi più drammaticamente attuale il problema, ci hanno pensato alcuni ragazzi che, dopo anni di vita tranquilla, e dopo aver raggiunto notevoli condizioni di stabilità affettiva ed economica, hanno avuto delle ricadute non sempre occasionali, ma sempre devastanti, per loro stessi, per i loro familiari e per quanti nutrivano ormai piena fiducia nei loro confronti.
Riprendendo il discorso relativo al nostro impegno, c’è da dire che con i ragazzi usciti dalla comunità al termine del programma, spesso abbiamo incontrato la difficoltà di far loro comprendere innanzitutto l’utilità di una ‘terza fase’, dato che, diversamente, la Comunità Incontro non prevede alcuna metodologia di supporto alla fase del reinserimento.
Sembra che molti di loro siano condizionati da una certa diffidenza nei confronti dei gruppi di volontariato in genere, per cui la proposta della fase di Reinserimento spesso viene da loro interpretata come una pretesa di sminuire il valore della Comunità.
La nostra attività invece non entra assolutamente in merito sulla validità o meno del cammino percorso e del metodo usato dalle Comunità.
Anzi, ben conosciamo ed apprezziamo l’attività e l’impegno della Comunità Incontro, in particolare.
Sappiamo però che essa non agisce per ‘magia’, e che i ragazzi in programma non sempre la sfruttano appieno.
Sappiamo che il distacco dalla comunità e il sentirsi dei ‘pesci fuor d’acqua’ costituiscono una fase particolarmente delicata.
Sappiamo, infine, che diverse difficoltà che i ragazzi incontrano nel loro reinserimento riguardano condizioni esterne alla comunità, quali la loro situazione familiare e sociale, e che quindi nessuno che lavori in questo campo, neanche la comunità, può essere considerata o sentirsi autosufficiente, onnipresente ed onnipotente.
3) DIFFICOLTA’ AL RITORNO DALLA COMUNITA’.
Dall’esperienza maturata in questi anni, riteniamo che le difficoltà più spesso incontrate dai ragazzi al loro ritorno dalla comunità, (difficoltà simili, del resto, a quelle che devono superare anche le altre persone in fase di Reinserimento), riguardano essenzialmente tre ambiti: la famiglia, le amicizie ed anche la coscienza di sé come persona in cammino.
Delle difficoltà di trovare lavoro parleremo a parte, non perché il problema occupazionale non abbia una certa rilevanza, ma perché, per noi, è più difficile trovare delle risposte concrete da offrire.
a) Reinserirsi nel nucleo familiare.
Ci sembra opportuno evidenziare, prima di qualunque altra considerazione, il beneficio che deriva ai ragazzi e alle loro famiglie, ugualmente coinvolte, dal superare in modo soddisfacente e in tempi ragionevoli la fase iniziale del Reinserimento, nella quale i ragazzi ritornati vivono un mondo di sensazioni e di situazioni ‘nuove’.
Sono in genere molto ‘caricati’, si sentono estremamente protagonisti e assaporano il gusto della ritrovata libertà. Devono quindi ritornare coi piedi per terra. Devono anche riconquistarsi la fiducia dei familiari, essere conosciuti nelle diversità prodotte dal cammino di maturazione comunitario, essere accettati nei nuovi ruoli che andranno ad assumersi all’interno della famiglia.
In questa fase, più che in ogni altra, è necessario instaurare un clima di dialogo e di confronto, basato sulla partecipazione paritaria alla vita familiare.
Contrariamente a quanto si possa immaginare, il reinserimento nella famiglia è un evento molto lungo e laborioso. I familiari, infatti, avranno bisogno di molto tempo ancora prima di riuscire a controllare i sentimenti di angoscia e di paura che scattano ogni qualvolta si verifica qualche situazione anomala che richiami alla mente il dramma appena superato; i ragazzi, da parte loro, dovranno accettare con umiltà di pagare tale prezzo, evitando di creare ulteriori preoccupazioni, comportandosi sempre con chiarezza e trasparenza.
Oltre la paura di sprofondare ancora nel passato, i familiari spesso vivono, nei confronti dei propri congiunti ritornati, dei sentimenti di sorpresa: hanno l’impressione di trovarsi di fronte a delle persone nuove, che non conoscevano, con pregi e difetti mai colti prima, mai manifestati prima (la droga copre e massifica). Ciò risulta ancora più evidente quando chi ritorna a casa dovrà assumersi il ruolo di marito o di moglie, di padre o di madre.
Costruire un nuovo equilibrio familiare sarà allora ancora più difficile.
Altre volte, invece, le difficoltà potrebbero essere molto più serie, in quanto alcune famiglie presentano disfunzioni e problemi di una certa gravità che i ragazzi, prima ‘emarginati’, non hanno mai accettato e superato, e con i quali in passato riuscivano a convivere solo perché si rifugiavano nella droga, nello ‘sballo’.
In questi casi, la soluzione migliore sarebbe quella del distacco dalla famiglia di origine, cercando, però, di creare prima le condizioni necessarie al proprio star bene (casa, lavoro, stabilità affettiva), di modo che ogni opportunità sia ben ponderata e non crei ulteriori condizioni di fragilità e di pericolo.
b) Costruire nuovi vincoli di amicizia.
Poiché i ragazzi, nel periodo in cui vivevano da ‘tossici’, avevano come amici quasi sempre e quasi esclusivamente i compagni di strada e di tossicodipendenza, quando poi ritornano a casa, dopo la comunità, si trovano in una momentanea condizione di solitudine dalla quale devono uscire evitando assolutamente pericolosi ritorni al passato e trovando la forza di inserirsi alla pari in quel mondo di persone che in precedenza avevano rifiutato o dal quale erano stati rifiutati.
E’ per loro dunque fondamentale compiere questo salto di qualità.
Tale condizione di disagio potrebbe indurli a ricercare nell’Associazione e negli amici usciti dalla comunità (gli ex), un luogo di rifugio, dove rimanere per evitare le difficoltà di inserirsi in nuovi gruppi di amici.
In questo frangente, il nostro atteggiamento di accoglienza del loro bisogno di sicurezza, di stimolo a non rinchiudersi, di sostegno e di verifica ai loro tentativi di integrazione, risulta ancora più importante.
c) Proseguire il proprio cammino di maturazione e di responsabilizzazione affettiva.
Qualche volta i ragazzi usciti dalla comunità commettono l’errore di sentirsi ‘arrivati’, di pensare di aver esaurito il proprio cammino di crescita, e vorrebbero recuperare al più presto il tempo perduto.
Questa loro presunzione risulta estremamente pericolosa, perché li porta all’imprudenza, al rifiuto di ogni confronto e alla ricerca prioritaria di beni esteriori. Vorranno allora ‘realizzare’ immediatamente le condizioni di cui sentono più bisogno (una ragazza, una macchina, l’indipendenza economica, e quindi il lavoro), senza valutare attentamente le situazioni e le opportunità.
Riferendoci più specificamente alla condizione affettiva dei ragazzi usciti dalla comunità, anche senza voler entrare nei singoli casi, dobbiamo dire che coloro i quali hanno avuto un uso strumentale della propria affettività e della propria sessualità, avranno bisogno di molto impegno prima di riuscire a viverle responsabilmente, così da ottenere il necessario, personale, soddisfacente, equilibrio affettivo.
In più, se hanno iniziato a fare uso di droga in età adolescenziale, dovranno anche imparare a riconoscere e a gestire sensazioni spesso a loro sconosciute, quali l’innamoramento, il non sentirsi corrisposti, … .
4) METODOLOGIA
A seguito di quanto detto, si comprende meglio il bisogno, per i ragazzi, che l’Associazione si ponga come punto di riferimento e come guida in questo settore, prospettando un cammino di reinserimento con risposte diversificate, che tengano conto della realtà composita sopra evidenziata, adattandosi alle varie esigenze con tempi e modi consoni.
Ci riferiamo in particolare :
– alla cadenza degli incontri (settimanale, quindicinale, mensile, …) ;
– alle modalità di svolgimento (colloqui individuali, gruppi di auto-aiuto, giornate di condivisione); – alla diversificazione degli stessi (di sostegno, di verifica, di confronto, di formazione);
– alla durata complessiva della fase (sei mesi, un anno, …).
Riteniamo altresì utile che ogni sede individui la persona che più direttamente si interesserà della fase del Reinserimento e ne comunichi il nominativo alla Segreteria generale.
Tale responsabilità può anche essere affidata al Segretario o a un altro membro dell’Esecutivo.
Il Responsabile designato, come ogni responsabile di settore, oltre che a curare l’approfondimento personale, avrà il compito di sensibilizzare e formare il gruppo al problema, di proporre iniziative e momenti di condivisione che coinvolgano il gruppo, le persone in fase di reinserimento ed eventualmente le loro famiglie.
Il nostro intervento diventa quindi fattivo attraverso la programmazione:
– degli incontri di verifica, individuali o di gruppo, per aiutare i ragazzi in fase di reinserimento a ‘tradurre’ nel proprio contesto e nel proprio quotidiano, i principi e i valori comunitari; stimolandoli a prendere coscienza di quanto questi siano necessari per il loro star bene, e di quanto sia per loro pericoloso vivere diversamente.
– degli incontri di formazione e di confronto, individuali o di gruppo, che abbiano come riferimento soprattutto la sfera affettiva di questi ragazzi, mettendo a nudo il grado di responsabilità e di equilibrio da loro raggiunto; aiutandoli a comprendere che si può star bene e maturare affettivamente anche senza avere immediatamente e necessariamente una ragazza, o un ragazzo;
– degli incontri periodici tra loro e i familiari, facilitando lo stabilirsi di rapporti diversi, basati su criteri di parità e di reciprocità;
– dei momenti e degli incontri di condivisione tra i volontari, loro e i familiari, così da farli sentire parte di una grande famiglia che con loro vive, in loro ha fiducia e in loro spera.
5) RAGAZZI IN FASE DI REINSERIMENTO E VOLONTARIATO.
Talvolta è accaduto, anche di recente, che i ragazzi usciti dalla comunità dopo averne completato il programma di recupero, venissero da subito considerati come membri del gruppo di volontariato e abilitati a fare i colloqui con i ragazzi tossicodipendenti.
Sappiamo bene quanto sia utile e significativo l’impiego di tali ragazzi nel settore dei colloqui: poter proporre ai tossicodipendenti che vengono a svolgere i colloqui da noi degli esempi concreti di quanto andiamo dicendo, risulta sicuramente più vantaggioso di qualunque altro discorso. Inoltre, i ragazzi che hanno terminato il loro programma di recupero, conoscono bene sia l’esperienza della droga che quella della comunità, e quindi il loro dire risulterà certamente preciso ed incisivo.
Pur tuttavia il passaggio dalla condizione di ‘ragazzo in fase di rientro’ a quella di ‘volontario’ non solo non avviene automaticamente, ma richiede formazione, ponderazione, scelta.
Rimanendo, ad esempio, nell’ambito dei colloqui, i ragazzi che hanno terminato il loro programma comunitario e che si rendono disponibili per i colloqui, dovranno apprendere come rapportarsi correttamente con i ragazzi a cui si rivolgono, mettendo a fuoco la differenza tra la propria esperienza e quella degli altri, riuscendo a distinguere temperamento, carattere e sensibilità diversi dai propri. Altrimenti potrebbero commettere l’errore di proiettarsi sugli altri, dicendo a tutti sempre le stesse cose e sempre allo stesso modo, aspettandosi da tutti sempre le stesse reazioni, e interpretando queste ultime sempre con gli stessi parametri.
Quindi, non subito e non sempre i ragazzi usciti dalla comunità sono adatti a svolgere i colloqui, perché non basta avere acquisito una determinata esperienza, ma bisogna anche saperla trasmettere, saperla adattare alle persone che, di volta in volta, si presentano.
L’esperienza, poi, ci ha insegnato ad essere ancora più prudenti e a lasciare tempo al tempo perché, se un ragazzo recuperato ha un valore così importante per un tossicodipendente che vuole smettere, una sua malaugurata ma possibile ricaduta avrà conseguenze devastanti.
Ribadisco, inoltre, che la nostra è una Associazione di Volontariato, cioè di persone che hanno scelto di essere volontari, che condividono una metodologia, uno spirito, una mentalità.
Bisogna allora che i ragazzi che hanno terminato il programma comunitario abbiano il tempo necessario di conoscere l’Associazione stessa, le sue finalità, i suoi campi di intervento e la sua metodologia; bisogna che abbiano la possibilità di valutare con calma se la nostra realtà è quella che loro cercano, così da potervi aderire in modo convinto e pieno, partecipando a qualunque attività della vita associativa, senza limitarsi al settore dei colloqui.
Quindi, i ragazzi che terminano il programma della comunità non sono e non devono essere considerati automaticamente come dei volontari, bensì devono essere guidati, qualora lo volessero, a fare una tale scelta.
Sottolineiamo, infine, l’estrema importanza di rapportarsi correttamente, sia individualmente che come gruppo di volontariato, ai ragazzi nella fase del reinserimento; stabilendo con loro un rapporto alla pari, ma nella chiarezza della momentanea diversità di condizione; riconoscendo loro l’importanza del cammino già effettuato, ma ben sapendo che la comunità non rende immuni ma liberi – liberi anche di ritornare alla vita di prima – e che, quindi, il loro processo di maturazione, come di qualsiasi persona, non può considerarsi compiuto.
6) LA DIFFICOLTA’ DEL LAVORO.
I ragazzi che escono dalla comunità, spesso hanno anche il problema occupazionale, vuoi perché il lavoro precedente è ormai compromesso, vuoi perché devono cercarsi per la prima volta un lavoro, vuoi perché incontreranno poche persone ancora disposte a dar loro fiducia,….
Poiché il lavoro è un elemento così importante per l’equilibrio di una persona, lo sarà a maggior ragione per loro che stanno ricostruendo la propria dignità e responsabilità sociale.
In un momento particolarmente critico come il nostro, le difficoltà di trovare un lavoro non riguardano solo i ragazzi usciti dalla comunità.
Pur riconoscendo quindi che il problema occupazionale è estremamente grande e complesso, sentiamo il dovere di portare il nostro piccolo e forse insignificante contributo.
In questi anni, abbiamo sempre auspicato la nascita di iniziative che contribuiscano a creare condizioni di lavoro. E’ da circa dodici anni che ogni tanto qualche nostro socio presenta progetti che però, purtroppo, non sono mai diventati esecutivi.
Ci proponiamo di individuare, al nostro interno, un gruppo di persone che offrano adeguate consulenze giuridico-amministrative a chiunque sia interessato all’argomento.
Raccomandiamo anche ai soci che sentono di volersi fattivamente impegnare in tale settore, di farci conoscere le proprie idee e i propri progetti.
Riteniamo intanto doveroso precisare alcune condizioni di base da tener presente nel compilare eventuali progetti ai fini occupazionali :
1) – La nostra Associazione, pur riconoscendo la validità del dibattito odierno relativo al ‘terzo settore’, e pur apprezzandone le nuove opportunità, intende tuttavia conservare la propria identità. Vuole pertanto che ci sia netta e chiara separazione con altre iniziative o attività ‘non-profit’, come ad es. con le cooperative di servizio, o produttive, o con attività lucrative.
2) – Coloro che si assumono la paternità di una iniziativa, se ne assumono anche la responsabilità giuridica ed amministrativa.
3) – Qualunque società o cooperativa che voglia a noi riferirsi, deve tradurre nel proprio contesto il nostro spirito e i nostri principi.
4) – Bisogna evitare iniziative che prevedano solo l’impiego di ex ragazzi tossicodipendenti, in modo da evitare il formarsi della categoria degli ‘ex’.
Oltre queste condizioni particolari, riteniamo che tutti i soci debbano maggiormente impegnarsi ad individuare eventuali possibilità lavorative da proporre ai ragazzi che terminano il loro programma comunitario.
In tal senso, sarebbe opportuno che la Segreteria generale fosse a conoscenza delle varie opportunità individuate.
Il Presidente.
(P. Vittorio Balzarano)